La gastronomia costituisce un complesso sistema nel quale l’uomo, attraverso una serie di saperi, trasforma le materie prime in cibo, dandogli forma, colore e sapore. Un’elaborazione in cui entrano in gioco la cultura e le conoscenze tecniche del tempo, lo studio dell’alimentazione e il valore sociale del cibo. Una prospettiva utile per approfondire un particolare periodo storico o un personaggio.
Per quanto concerne la gastronomia al tempo di Dante si parla prevalentemente di cucina nobile e borghese che rifletteva le distinzioni di status. I banchetti costituivano, infatti, grandi occasioni sociali, per creare o rafforzare il senso di solidarietà, di amicizia o di alleanza.
Un rinnovato interesse verso il cibo si sviluppò proprio a partire dal XIII secolo, quando fecero la loro comparsa i primi trattati di cucina. Una cucina fondata sul contrasto, sulla ricerca dell’equilibrio, tramite l’utilizzo di gusti forti in cui prevalevano l’agrodolce e il piccante. Ulteriori elementi che caratterizzavano la gastronomia medievale erano l’alternarsi di pietanze di magro e pietanze di grasso, che riflettevano gli obblighi liturgici di astinenza dalla carne, e le convinzioni dietetiche e mediche del tempo. Infatti, secondo la teoria degli umori, elaborata da Ippocrate, e le raccomandazioni dettate dalla Scuola Medica Salernitana il cibo era considerato al pari di una medicina, pertanto occorreva conoscere quello più adatto ad ogni persona per curarla o semplicemente per mantenerla in salute.
La pietanza più apprezzata dal ceto aristocratico era la carne, in particolare la selvaggina. Molto ricercati nei banchetti: gru, cicogne, fenicotteri e ghiri ma l’animale più ambito era il pavone, cucinato e poi ricomposto con tutto il suo piumaggio prima di portarlo in tavola, poiché si credeva che le sue carni non marcissero mai, pertanto, costituiva un ricercato alimento, simbolo di lunga vita.
Il pesce era considerato una pietanza povera ed utilizzato soprattutto nei numerosi periodi di astinenza dalla carne che secondo il calendario liturgico ammontavano ad oltre centossessanta giorni all’anno. Tra le specie ittiche più ambite figuravano l’anguilla e lo storione. Il formaggio associato alla gastronomia povera non compariva nei banchetti aristocratici.
Generalmente la popolazione consumava i cereali disponibili localmente, quali la segale, il miglio, il sorgo, la spelta, l’avena, l’orzo mentre il grano e il farro figuravano tra quelli riservati ai nobili. Pane, zuppe, polente erano alla base dell’alimentazione ed anche la pasta era già nota nella forma di maltagliati, vermicelli, lasagne, tortelli e ravioli.
Le verdure e gli ortaggi avevano un ruolo importante, non dovevano mai mancare: cipolla, aglio, porro, cavolo, rapa, finocchio, lattuga, carote, pastinache, spinaci e bietole. I legumi più diffusi: fave, lenticchie, ceci e cicerchie. Ovviamente mancavano tutti i prodotti del Nuovo Mondo, le zucche erano solo le lagenarie (zucca a fiaschetto) ed i fagioli solo quelli dall’occhio, provenienti dal Nord d’Africa.
Tra le varietà di frutta: mele, pere, melagrana, uva, prugne, castagne, pesche, cotogne, fichi, mandorle, noci, corniole, nocciole, limoni, cedri ed arance amare. Le spezie, costosissime e ricercate, erano esclusivo appannaggio dei ceti aristocratici ed assolvevano al ruolo di medicamento e di status symbol, oltreché di condimento e di aromatizzante. Anche lo zucchero era considerato una spezia, a causa del suo alto costo di produzione e di approvvigionamento, venduto nelle spezierie era raccomandato come medicamento. In cucina si dolcificava con miele, vino, o mosto, cotto, e con vino di fichi.
Le salse preferite contemplavano la mostarda e i condimenti più utilizzati: l’aceto e l’agresto, quest’ultimo realizzato con il succo dell’uva acerba. Il sale era pressoché ovunque, anche se con evidenti differenze di qualità tra le classi sociali in quanto la salagione insieme all’essiccamento erano le forme più comuni per conservare gli alimenti, specialmente carne e pesce. I dolci più diffusi: cialde, ciambelle, biscotti, marzapane, croccanti, mostaccioli, budini e una grande varietà di frittelle.
Il gusto dei piatti medievali si fondava su tre sapori fondamentali: il forte, dovuto alle spezie, il dolce, determinato da zucchero, miele, datteri e uva passa, e l’acido, attraverso l’uso di aceto e di agresto. Tra le bevande più utilizzate: il sidro, ottenuto dalla fermentazione delle mele, la birra e il vino. Quest’ultimo costituiva un fondamentale elemento della dietetica ed al tempo stesso un potente mezzo di prevenzione. Infatti gli si attribuivano particolari funzioni digestive, antisettiche e corroboranti, insomma una vera e propria panacea. Il banchetto aristocratico non poteva concludersi senza un bicchiere di Malvasia di Candia, accompagnata da un cialdone, o con l’Ippocrasso o Ypocras, un vino speziato e dolcificato che costituiva l’evoluzione del vino medicinale dell’antichità e si presentava come una ricercata bevanda aromatica, confortante, ristorativa nonché dall’inconfondibile fascino di esotismo e di esclusività.
RICETTE
SPIEDINI DI ANGUILLA
Ingredienti: 2 kg di anguilla, ¾ di tazza di aceto di mele, tre tazze di vino bianco, una tazza di olio evo, un cucchiaio di prezzemolo, due di menta ed uno di aneto, due pizzichi di finocchio selvatico, un pizzico di pepe meleguetta, mezza noce moscata grattugiata e cinque foglie di alloro.
Preparazione: spellare l’anguilla farla marinare per due ore nel vino poi scolare e mettere in forno ben caldo a 200°C per circa 20 minuti, poi aggiungere olio e aceto ed infine le erbe. Durante la cottura unire, di tanto in tanto, qualche cucchiaio di vino della marinata.
FRITTELLE UBALDINE (o Crispelli)
Ingredienti: 15 g di lievito di birra (o lievito madre), 300 g di farina, 10 cl di acqua tiepida, un tuorlo più un uovo intero, un pizzico di stimmi di zafferano, una cipolla tritata, un cucchiaio di foglie di nepitella (mentuccia), uno di prezzemolo, uno di olio di oliva, un pizzico di salvia essiccata, due cucchiai di fiori di sambuco, un cucchiaio di zucchero e sale. Olio per friggere q.b.
Preparazione: Lasciare in infusione lo zafferano nell’olio di oliva. Stemperare il lievito nell’acqua tiepida; dopo una decina di minuti aggiungere lo zafferano ed incorporare uova e farina. Far lievitare per circa un’ora e mezza. Intanto, soffriggere cipolle ed erbe aromatiche e lasciar raffreddare. Trascorso il tempo di lievitazione, aggiungere all’impasto il soffritto, lo zucchero e un pizzico di sale. Formare delle palline non troppo grandi e lasciare lievitare per un’altra ora: la pasta deve raddoppiare di volume. Scaldare l’olio e friggere. Sgocciolare e servire ben calde
POMME FRITTE (Mele fritte)
Ingredienti: 1 kg di mele, 300 g di farina e acqua fredda q.b, 50 g di uva passa, un pizzico di stimmi di zafferano, un cucchiaio di olio, 100 g di zucchero di canna e due cucchiai di cannella in polvere, olio per friggere q.b.
Preparazione: sbucciare e affettare le mele, immergerle nella pastella, in cui avrete sciolto lo zafferano immerso nell’olio per circa 10 minuti, due cucchiai di zucchero e l’uva passa. Friggere in olio bollente e spolverizzare di zucchero di canna mescolato alla cannella in polvere.
PER APPROFONDIRE
Carnevale Schianca, Enrico, La cucina medievale: lessico, storia, preparazioni, Olschki, Firenze, 2011
Capatti, Alberto e Montanari, Massimo, La cucina italiana. Storia di una cultura, Laterza, Bari-Roma, 19991
Gatto, Ludovico, Medioevo, Newton Compton, Roma, 1994
Grappe, Yann, Sulle tracce del gusto. Storia e cultura del vino nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari, 2006
Le Goff, Jacques, Eroi & meraviglie del Medioevo, Laterza, Bari, 2005
Montanari, Massimo, Alimentazione e cultura nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari, 1988
– Gusti del Medioevo. I prodotti, la cucina, la tavola, Laterza, Roma-Bari, 2013
Pastoreau, Michel, Medioevo simbolico, GLF Laterza, Bari, 2005
Redon, Odile, Françoise Sabban, Francoise, Serventi, Silvano, A tavola nel Medioevo. Con 150 ricette dalla Francia e dall’Italia, Laterza, Bari-Roma, 1994
Turner, Jack, Spezie. Storia di una tentazione, Araba Fenice, Bra (CN), 2006