Dal Medioevo al Rinascimento la presenza del formaggio a tavola
Dall’antichità a tutto il Medioevo il formaggio è stato considerato sinonimo di pietanza semplice, di cibo povero, adatto ai contadini e ai monaci ma non ai palati aristocratici. Molte erano, infatti, le diffidenze nei confronti del formaggio, da parte dell’aristocrazia, stante il carattere misterioso dei processi di fermentazione e di caseificazione ma anche a causa delle concezioni mediche del tempo. La Scuola Medica Salernitana, infatti, sconsigliava vivamente il consumo di formaggi stagionati e raccomandava di cibarsene con mano avara, cioè con parsimonia.
Nel Medioevo
Solo sul finire del Quattrocento ad opera del medico piemontese Pantaleone da Confienza, autore della Summa Lacticinorium (1477)1, iniziò un processo di nobilitazione e riabilitazione del formaggio. Tuttavia l’utilizzo del formaggio in cucina è testimoniato fin dal Trecento, a cui risalgono attestazioni sull’uso di spolverizzare il formaggio sulla pasta, mescolandolo con spezie dolci. Nel corso del XV secolo grazie all’opera del grande cuoco Maestro Martino, autore di un celebre trattato di cucina in lingua volgare, il formaggio viene raccomandato su ravioli, maccaroni siciliani, vermicelli, lasagne e minestre.
Nel Rinascimento
Nel corso del Cinquecento il formaggio si diffonde tra tutte le classi sociali non solo come condimento ed ingrediente nelle preparazioni di salse e farciture, ma anche come vera e propria pietanza. Il formaggio compare sulle mense di principi e pontefici, come riportato nelle liste delle vivande dei banchetti aristocratici di Cristoforo Messisbugo, celebre scalco alla corte estense di Ferrara, nel banchetto organizzato per 104 invitati, a Ferrara nel 1529, figurano nella VII portata: pasticci di pere; gelatina torbida di polpe di fagiani, pernici e capponi; gelatina bianca di luccio; finocchi in aceto; olive di Spagna; uova fresche, pere e mele; formaggio parmigiano; cardi con pere e sale. Ed anche nella cena fatta nel 1543, dove tra frutte e confetioni, cioè i dessert, compaiono ben sei piatti a base di formaggio parmigiano.
Bartolomeo Scappi, cuoco di pontefici e pietra miliare della cucina rinascimentale autore di Opera, il primo trattato a stampa pubblicato nel 1570, dove emergono descrizioni dettagliate delle pietanze presenti nei banchetti principeschi e in quelli pontifici, tra cui formaggi: marzolini, casci parmiggiani, giuncate, provatura, capi di latte, raviggioli…
Integrazione a tavola
Le vicende che accompagnano il formaggio sono fra quelle che ci mostrano con maggiore evidenza l’assunzione a livello elitario di valori gastronomici tipici della cultura popolare. Nel caso del formaggio si assiste ad un percorso di integrazione dal basso verso l’alto, cioè dalla cucina contadina a quella aristocratica. Il formaggio apparve sulle mense aristocratiche spesso in abbinamento alle pere, considerate il frutto più prelibato e destinato ai soli nobili, da cui il detto “al contadino non far sapere quanto è buono il cacio con le pere”.
[1] Irma Naso, Formaggi nel Medioevo. La “Summa lacticiniorum” di Pantaleone da Confienza, Torino, Il Segnalibro, 1990
2Per approfondire vedere: Massimo Montanari, Il formaggio con le pere. La storia in un proverbio. Editori Laterza, 2008