Digerire le parole, nutrire la mente
Ovvero quando a nutrirci non sono soltanto i cibi ma anche le parole.
Nel luglio del 2017 venni invitata a parlare di cibo, nei dintorni di Paestum, in un convegno di medicina integrata dal titolo Digestio. Nel prepararmi l’intervento riflettevo sul tema pensando che gli interlocutori sarebbero stati: medici, nutrizionisti, erboristi, operatori del benessere. Cercai quindi un taglio “su misura” per me; rammentandomi del proverbio latino che recita: digestio fit in ore, divenne tutto molto chiaro. Partii così dalla bocca e da un gioco di parole attinente la digestione. Come ad esempio aver fame di dati, non digerire una notizia, aver sete di informazioni, non digerire un concetto.
Era chiaro, a nutrirci non erano solo i cibi ma anche le parole.
Mi ritornavano alla mente i concetti dell’antropologo Marvin Harris , cioè come il cibo sia buono da pensare, oltreché da mangiare.
Riflettevo che recepta, deriva da receptus, formula medica indicante il rimedio che deve prendere il malato, che inizia, appunto, con la parola recipe, cioè prendi.
Il cibo, da gastronoma e cultrice delle tradizioni enogastronomiche, lo sapevo bene è da sempre nutrimento per il corpo e per l’anima. Carico di suggestioni simboliche, veicolo di affettività, amore e passione. La letteratura di ogni tempo e di ogni latitudine ha dedicato a questo simbolismo, così complesso e affascinante, alcune delle sue pagine più belle.
Parole e cibo, saperi e sapori sono, nella nostra cultura, termini molto famigliari e ridondanti. Ve ne fornisco subito qualche testimonianza. Noi abbiamo appetito di conoscenza; fame d’informazioni; noi divoriamo un romanzo; facciamo indigestione di dati; non siamo mai sazi di racconti; mastichiamo un po’ di inglese; ruminiamo qualche progetto; digeriamo a fatica alcuni concetti; mentre assimiliamo meglio certe idee piuttosto che altre. Molti di noi hanno sete di sapere. Spesso ci beviamo una storia soprattutto se nel narrarcela sono state usate parole dolci, invece di condirla con amare considerazioni, con battute acide o disgustose, o, peggio ancora, con allocuzioni insipide. Non a caso le storielle più appetitose sono quelle infarcite di aneddoti pepati, di descrizioni piccanti e, vuoi anche, di paragoni gustosi.
Ecco che a partire dall’analogia tra il nutrimento del corpo e quello della mente è possibile riconsiderare il rapporto, in verità non troppo sotterraneo, fra parole e cibo, nutrimento e digestione.Che legame c’è tra cibo e parola?
Innanzitutto entrambe hanno a che fare con la bocca. Il cibo in concreto attraversa gli organi di trasmissione della parola nel momento in cui entra dentro di noi e naturalmente si pone, da subito, il problema molto complesso del rapporto con la parola. È cattiva educazione, e spesso è anche rischio di soffocamento, parlare mangiando. Se si parla, non si mangia e se si mangia, è meglio non parlare. Meglio non parlare a bocca piena. Lo insegnavano le nostre mamme, ed è, forse, ancora una delle poche regole del nostro vivere civile. Questo dimostra che si tratta, solo all’apparenza, di due cose che si negano a vicenda.
Quando la parola si nutre di cibo essa è cibo, insegue il cibo, parla del cibo, canta il cibo. Tuttavia nello stesso tempo il corpo si nutre di parole, poiché la parola è un nutrimento del corpo e dell’anima. Il cibo è un grande elemento di socializzazione tra le persone, ma è anche causa di guerra, di lotte. Il cibo ha una natura molto ambigua, una doppia faccia: una buona e una cattiva. Fra le cose che distinguono l’uomo dagli altri esseri viventi vi è il particolare legame (religioso, sacro, estetico) che egli, sin dall’inizio della sua storia, ha istituito con il cibo.
Lo stretto rapporto tra cultura e cibo, storia e alimentazione, parole e nutrimento hanno accompagnato e accompagneranno ancora la nostra storia, la nostra cultura. Pertanto vi invito a riflettere su quanto il sociologo francese Claude Fischler* ci suggerisce: …Mettiamoci all’ascolto dei nostri sensi per riscoprire i nostri alimenti e il nostro corpo insieme. E’ forse significativo il fatto che sapere, etimologicamente, deriva da sapore: se avere sapore vuol dire sapere, allora urge accrescere le nostre competenze in questo campo. Scopriremo così ciò che mangiamo e al tempo stesso quel che siamo.
* Claude Fischler. Direttore della ricerca presso il CNRS, l’agenzia nazionale di ricerca francese, responsabile del Centre Edgar Morin, in Italia noto anche per il saggio L’onnivoro, ha sempre indagato il ruolo del cibo e dell’alimentazione nelle società. Perché il cibo riguarda tutti, e tutto: il tempo e lo spazio, la salute e il piacere, la qualità della vita e l’ambiente.