Mi è capitato di imbattermi tra alcune preparazioni della cucina tradizionale di Vignanello, un delizioso paese posto tra le pendici dei Cimini e la valle del Tevere, tra queste vorrei evidenziare le ‘bertolacce’. Una sorta di crespella da cuocere in una piccola padella di ferro, da farcire con pecorino romano grattugiato e poi arrotolare su sé stessa come un sigaro.
Le bertolacce rappresentano il piatto della festa e non possono mancare sulla tavola il giorno di Santa Barbara, il 4 dicembre. Una preparazione di origine medievale ben radicata nella tradizione, tanto che ancor oggi alcune signore si prendono il compito di realizzarla su richiesta. Le bertolacce vengono denominate, nei paesi della Tuscia, con nomi molto diversi che rimandano alla stessa pietanza, seppur con piccolissime varianti. Si tratta delle ‘fricciolose’, delle ‘fregnacce’, degli ‘stracci’ o delle ‘pizzacce’. Le bertolacce di Vignanello sono ottime da gustare sia calde, sia fredde; da presentare come piatto unico o come appetitoso antipasto. Inizialmente non ci credevo ma ho dovuto ricredermi, sono davvero irresistibili se gustate con le mani, come un finger food.
RICETTA DELLE BERTOLACCE
Ingredienti, per circa 50 bertolacce, occorrono:
500 g di farina
un litro di acqua
un uovo (nelle versioni più recenti)
un pizzico di sale
Procedimento
Mettere in una ciotola la farina, l’uovo e il sale, iniziare ad impastare con le mani, aggiungendo poca acqua alla volta fino ad ottenere una pastella liscia. Coprire l’impasto con pellicola trasparente e lasciar riposare per circa 2 ore. Quindi aggiungere altra acqua fino ad ottenere una consistenza abbastanza densa, come per i pancake. Ungere la padella e versare un mestolino di pastella, cercando di ricoprire bene tutta la superficie, realizzando uno strato molto sottile. Cuocere per pochi istanti da un lato e poi girare e cuocere per qualche istante dall’altro lato. Adagiare su un piatto piano, condire con abbondante pecorino e arrotolare a mo’ di sigaro. Disporre su un piatto da portata e conservare in frigo fino al momento di servirle.
Tra i dolci oltre alle caratteristiche ‘ciambelline al vino’, aromatizzate con il vino doc di Vignanello e i semi di anice verde, figurano i ‘tozzetti’, molto piccoli e ricchissimi di nocciole.
uttavia tra i dolci a base di nocciole i più gustosi ed originali sono senz’altro i ‘crucchi’. Dolcetti che la leggenda vuole siano stati creati dai vignanellesi per omaggiare la futura moglie austriaca del principe Bartolomeo Ruspoli (1800-1872) cioè la contessa Maria Leopoldina. Questo dolce tipico di Vignanello valorizza, a mio avviso, uno dei migliori prodotti del territorio: le nocciole e, cosa non trascurabile, risulta di facilissima realizzazione. Provate a realizzarlo con i bambini come si faceva nel passato chiedendo il loro aiuto per pizzicare l’impasto e metterlo in teglia.
RICETTA DEI CRUCCHI
Ingredienti:
100 g di cacao amaro
300 g di zucchero
400 g di nocciole tostate
2 uova
un cucchiaio di farina
Procedimento
Montate gli albumi con una frusta e, a parte, i tuorli insieme allo zucchero e al cacao. Unite i due composti, aggiungete le nocciole, private della pellicina, spezzate a metà e passate velocemente nella farina. Amalgamate bene il composto e ricavare dei ‘mucchietti’ di impasto, aiutandovi con un cucchiaino o pizzicando l’impasto con tre dita, disponeteli su di una teglia rivestita di carta forno. Cuocete in forno a 140°C per circa 15 minuti, badando a non far seccare troppo i dolcetti.
La pizza suale, così chiamata in dialetto, si riferisce ad una pizza usuale, cioè usualmente preparata per le feste pasquali. Una sorta di pane con lievito madre, arricchito con olio e uova, aromatizzato con cannella in polvere. La cannella contribuisce a caratterizzare il colore dell’impasto e a donare un originale sapore alla preparazione tipica di Vignanello, che non trova prodotti simili nella Tuscia. La tradizione impone di gustarla con salumi e uova sode.
Sulla tavola pasquale oltre alla pizza suale non poteva mancare la pizza dolce dalla soffice consistenza e dai soavi aromi. La sua particolare consistenza la rende unica rispetto a tutte le pizze di Pasqua che si trovano nell’Alto Lazio. La ricetta prevede uova, latte, farina, lievito, zucchero, vaniglia e un mix di liquori. Le dosi che si ritrovano tra i vecchi quaderni di ricette vignanellesi ci riportano a quantitativi per noi davvero improponibili, trenta o quaranta uova tanto per intenderci, ma un tempo si preparavano numerose pizze dolci per poi distribuirle ai parenti o per regalarle agli amici o per sdebitarsi da un favore ricevuto.
Da provare il ‘pamparito’, una sorta di pane arricchito con olio extravergine di oliva e semi di anice. La tradizione lo vuole in tavola soprattutto nel periodo pasquale, servito a fettine per accompagnare salumi, uova sode e formaggio. Era sempre presente nei buffet fatti in casa, nel cosiddetto rinfresco, che si teneva subito dopo le nozze, occasione in cui si offriva agli invitati accompagnandolo a caffè d’orzo e ricotta.
Il pamparito si prepara seguendo antiche ricette tramandate dalle nonne; tipico delle famiglie benestanti, solo successivamente è diventato una preparazione alla portata di tutti.
L’origine del nome della pietanza non è chiara e potrebbe essere stata modificata nel tempo. Era già in uso a metà dell’Ottocento, quando l’analfabetismo riguardava circa l’80% della popolazione, e potrebbe derivare da ‘pan parito’, dove ‘pan’ sta per pane e ‘parito’, che in latino significa ‘preparare a…’, da cui forse deriva ‘un pane da preparare per Pasqua’. Tra le ipotesi etimologiche più accreditate figura quella che deriva dalla moglie premurosa nei confronti del marito quando questi si recava al lavoro: pane per il marito, da cui pane marito, poi abbreviato in ‘panmarito’, ed infine in pamparito.
Qualunque sia la radice etimologia tale preparazione è profondamente legata alle tradizioni gastronomiche di Vignanello. Paese che da tempo si è adoperato per conservare e recuperare la tradizione. Il pamparito di Vignanello è, infatti, entrato nell’albo nazionale dei pani storici italiani e nell’Arca del Gusto di Slow Food. Ha la forma di un maritozzo ma non è un dolce bensì salato, nel 2016 ha ottenuto la certificazione De.C.O. (Denominazione Comunale di Origine).
RICETTA DEL PAMPARITO
Ingredienti
420 g di farina tipo 00
un pizzico di sale
35 g di olio extra vergine di oliva
30 g di vino bianco (preferibilmente Vignanello doc)
30 g di semi di anice
15 g di lievito di birra
acqua tiepida q.b.
Procedimento
Sciogli il lievito nell’acqua tiepida e aggiungi tanta farina quanto basta per formare un panetto morbido e consistente. Lascia lievitare per circa 3 ore. Separatamente amalgama con la farina, il sale, l’olio, i semi di anice precedentemente lasciati in ammollo nel vino per almeno mezz’ora e il vino stesso. Continua ad impastare il tutto fintanto che il composto non risulti ben amalgamato. Unisci l’impasto appena ottenuto al panetto lievitato precedentemente e lavora il composto a lungo, dopodiché lascia riposare per circa mezz’ora. Dividi l’impasto in porzioni tipo maritozzi, ma allungati alle estremità e disponili modellati a forma di panetto sulla teglia e lascia lievitare. Quando i panetti saranno raddoppiati di volume spennella con l’uovo sbattuto e inforna ad una temperatura di circa 230 C°, per circa 40-45 minuti.
Per approfondire la storia di Vignanello: