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Il “Rinascimento” del baccalà

Dal 10 al 13 settembre a Roma nel quartiere Garbatella si è tenuta la prima edizione di Roma Baccalà, una manifestazione dedicata alla cultura del merluzzo nordico, tra cibo, religione, storia, miti e casualità sotto la direzione artistica di Francesca Rocchi.

Sandra Ianni, storica della gastronomia, e Stefano Aldreghetti, chef veneziano di grande abilità nel trattare in cucina lo stoccafisso, hanno presentato ad un  pubblico interessato e numeroso il seminario dal titolo Baccalà e cucina rinascimentale: Roma aprile 1536 a tavola con Carlo V.

Il seminario ha inteso far rivivere il senso del banchetto rinascimentale anche attraverso la degustazione di una ricetta veneziana in tema, preparata in show cooking da Stefano Aldreghetti: il baccalà alla cappuccina.

In realtà si è trattato dello stoccafisso norvegese, che a Venezia è indicato da sempre con il nome di baccalà; lessato e sapientemente aromatizzato con  uvetta di Candia, pinoli e cannella, evocativo della cucina rinascimentale.

Ma cos’è il baccalà? E’ il Gadus morhua, che erroneamente traduciamo in italiano come “merluzzo”,  arriva  dai mari nordici sui  nostri  mercati,  oggi come  nel Cinquecento,  in  due  differenti  forme:  il  baccalà,  disidratato  sotto sale, e lo stoccafisso, essiccato al vento. In Italia apparve per la prima volta in un trattato gastronomico nel 1570: Opera di Bartolomeo Scappi.

Scappi,  definito il Michelangelo della cucina, dopo aver servito alla corte di alcuni cardinali, lavorò per il papa Giulio II, poi per Pio IV e, infine, per Pio V, del quale divenne cuoco personale. All’apice della carriera, pubblicò a Roma il più grande e sistematico trattato di cucina del Cinquecento. Un lavoro enciclopedico in sei libri, con oltre mille ricette che offre una vasta trattazione sulle tecniche di cucina, nonché esaurienti particolari, denominazioni  e  annotazioni. In realtà sono trattati tutti gli argomenti che un cuoco rinascimentale di alto livello doveva conoscere ed ovviamente non poteva mancare un approfondimento sul pesce.

Il Cinquecento fu denominato “il secolo d’oro del pesce” e questo lo apprendiamo non solo dai numerosi piatti a base di pesce presenti nei banchetti di corte ma soprattutto dalle numerose opere scientifiche date alle stampe a livello nazionale ed europeo.

Con Bartolomeo Scappi il pesce non primeggia soltanto sulla mensa quaresimale, ma acquisisce rilievo nei pranzi aristocratici. Come ad esempio nel banchetto, in onore dell’imperatore Carlo V, tenutosi a Roma nel 1536. Tra i numerosi piatti di pesce anche il merluzzo nordico venne  da Scappi consacrato a piatto della cucina italiana aristocratica con la seguente preparazione: Merluccie alla spagnola alessate coperte di mostarda. Si trattava di merluzzo salato proveniente dalla Spagna, lessato ed accompagnato con una salsa a base di senape servito durante il banchetto di cui Scappi ci testimonia un pantagruelico menu di magro fatto di ben 192 portate per un totale di 778 piatti, organizzato in cinque servizi di cucina e sette di credenza.[1]


[1]        Solitamente il servizio di credenza generalmente apriva il pasto con pietanze fredde: insalate, gelatine di pesce e di carne, pasticci, biscottini e frutta zuccherata. Per finire il pasto dalla credenza si servivano mele cotogne, confetti, confetture, frutta e verdura confettata. Il servizio di cucina invece prevedeva tutte le pietanze calde: arrosti vari, pollame, cacciagione e pesce, crostate, pasticci e verdure cotte.

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